testo integrale con note e bibliografia
In tredici anni di pontificato Papa Francesco è intervenuto molte volte sul tema del lavoro, dimostrando non solo una competenza personale, ma ancor di più una capacità di riflessione originale. Troviamo interventi molto diversi tra loro quanto a impegno magisteriale (un conto è un’enciclica e un conto un’esortazione apostolica, un discorso durante un’udienza non ha lo stesso valore di un documento postsinodale…) e questo non va ignorato . Alcuni discorsi, peraltro, si collocano in luoghi particolari o con persone speciali, che meritano tutta l’attenzione del caso. Straordinario, per esempio, e quasi insuperabile rimane il discorso tenuto all’Ilva di Genova il 27 maggio 2017, così come i diversi interventi con i movimenti popolari, che aiutano a fare luce sul principio di sussidiarietà e a comprendere l’importanza di un protagonismo dal basso delle persone che la società tende a mettere ai margini o considera scarti. Infine, non si può dimenticare che il magistero di Francesco conosce due livelli inseparabili: il contenuto e il gesto che indica sempre un impegno concreto. Bergoglio viene ricordato soprattutto per aver attivato processi e non semplicemente per aver fatto belle meditazioni. Unico rimane il tentativo di organizzare la speranza in campo economico attraverso il movimento denominato Economy of Francesco: giovani imprenditori, imprenditrici, economisti e change makers si sono incontrati, a partire da una lettera di invito del Papa datata 1° maggio 2019, per immaginare un’economia civile, capace di valorizzare le persone e di promuovere sostenibilità ambientale, di creare impresa sociale e di costruire luoghi di pace. Un movimento culturale destinato a far intrecciare esistenze e sogni.
Il percorso qui proposto conoscerà tre tappe: si metterà in rilievo la teologia del lavoro che sottostà al magistero di Francesco, si approfondirà il senso del lavoro che emerge da diversi documenti sociali e, infine, si analizzerà la condizione lavorativa che conosce anche in questo tempo forme di sfruttamento e di ingiustizia sociale.
1. Gesù «il falegname» (Mc 6,3): per una teologia del lavoro
Chi accosta le pagine del magistero di Francesco dedicate al lavoro non può non rimanere meravigliato dalla prospettiva cristocentrica. Spesso la teologia del lavoro trova fondamento esclusivo nell’opera di Dio Creatore: l’uomo è collaboratore e continuatore della creazione voluta dal Padre . Il Papa argentino sembra evidenziare molto di più l’attività lavorativa di Gesù Cristo. La questione torna in diversi interventi. Gesù lavora con le sue mani, tanto da essere definito non solo il «figlio del falegname», Giuseppe, ma lui pure «falegname» in Mc 6,3. L’annotazione evangelica indica la semplicità della vita di Cristo, che non appare per nulla straordinaria e non fa comprendere agli abitanti di Nazareth la sua divinità. Nella catechesi su san Giuseppe falegname (12 gennaio 2022) Francesco spiega che il termine greco tekton, tradotto dai Padri della Chiesa latina con «falegname», in realtà indica molto di più: nella Palestina ai tempi di Gesù il legno serviva per costruire aratri, mobili, ma anche case con serramenti di legno e tetti a terrazza costruiti con travi dove si mescolano rami e terra. Probabilmente «falegname» sta per «carpentiere», indicando nello stesso tempo sia l’artigianato del legno sia il lavoro operaio tipico dell’edilizia.
La memoria del lavoro di Gesù si trova nell’enciclica Laudato si’ (LS) 98, ma trova riprese significative nelle esortazioni apostoliche Amoris laetitia (AL) e Christus vivit (ChV). I trent’anni in cui «Gesù si guadagnò il pane lavorando con le sue mani» (AL 65) sono un apprendistato rispetto alla vita. Cristo ha avuto un rapporto positivo con il mondo. Imparando l’abilità delle mani come artigiano ha preso contatto quotidiano con la materia, ha santificato l’esperienza lavorativa. Il fatto che fosse riconosciuto dai suoi concittadini come un lavoratore è un dettaglio che rivela chi era davvero Gesù: «un ragazzo del villaggio come gli altri e che aveva relazioni del tutto normali. Nessuno lo considerava un giovane strano o separato dagli altri. Proprio per questo motivo, quando Gesù si presentò a predicare, la gente non si spiegava da dove prendesse quella saggezza: “Non è costui il figlio di Giuseppe?” (Lc 4,22)» (ChV 28). Cristo ha imparato un mestiere da Giuseppe, crescendo nella bottega: una condivisione profonda dell’umanità, rivelando il volto positivo del lavoro. Nell’udienza all’associazione Confartigianato (10 febbraio 2024) Francesco ha ricordato che Gesù
«ha vissuto per diversi anni tra pialle, scalpelli e attrezzi di carpenteria. Ha imparato il valore delle cose e del lavoro. Il consumismo ha diffuso una brutta mentalità: la mentalità dell’“usa e getta”. Ma il creato non è una somma di cose, è dono, “un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode” (Enc. Laudato si’, 12). E voi artigiani ci aiutate ad avere occhi diversi sulla realtà, a riconoscere il valore e la bellezza della materia che Dio ha messo nelle nostre mani» .
In questo discorso il Papa si è fermato sugli occhi dell’artigiano, che hanno uno sguardo originale sulla realtà. Egli
«ha la capacità di riconoscere nella materia inerte un capolavoro prima ancora di realizzarlo. Quello che per tutti è un blocco di marmo, per l’artigiano è un elemento di arredo; quello che per tutti è un pezzo di legno, per un artigiano è un violino, una sedia, una cornice! L’artigiano arriva prima di tutti a intuire il destino di bellezza che può avere la materia. E questo lo avvicina al Creatore» .
L’abilità manuale di Gesù sottolinea questa caratteristica del lavoro: trasforma la materia secondo un progetto e un disegno. Gesù artigiano sa vedere un capolavoro nella materia inerte: ciò rivela anche il suo stile di approccio alle persone. Quando in Mt 25 egli si identifica con il povero, ossia l’affamato, l’assetato, lo straniero, il malato, il detenuto, il bisognoso di vestito, intende riconoscere la profonda dignità di ogni persona. Gesù ha incontrato le fragilità umane, spirituali, economiche e sociali, e si è prodigato per il pieno recupero della persona.
Il Gesù Cristo artigiano offre le basi per una teologia del lavoro: la manualità trasforma e valorizza la creazione. Senza l’attività lavorativa probabilmente Gesù non avrebbe dimostrato la straordinaria familiarità con quei luoghi di lavoro di cui si è servito per narrare parabole. Molte immagini prese dalle professioni esistenti al suo tempo introducono al Regno di Dio, raccontano il suo mistero e fanno comprendere il suo amore. Le parabole prendono vita nell’ordinarietà dei lavori presenti nella terra di Gesù, a testimonianza di un’abilità sul campo e di un occhio attento ai lavoratori e alle lavoratrici: contadini, pescatori, fornai, falegnami, banchieri, servitori, artigiani… Si vede una sopraffina sensibilità per il lavoro umano. Si percepisce che la fatica quotidiana di Gesù rimanda sia al mistero dell’incarnazione sia a quello della redenzione.
Le pagine della Bibbia mostrano tutta la bontà del lavoro umano. In AL 23 Francesco ricorda il Sal 128, dove la dignità umana è associata all’opera delle mani: «Della fatica delle tue mani ti nutrirai, sarai felice e avrai ogni bene» (v. 2). Il lavoro è parte della dignità umana, visto nella sua positività. Il riferimento che torna spesso in Francesco è Gen 2,15: Dio prende l’uomo e lo pone nel giardino di Eden «perché lo coltivasse e lo custodisse». La citazione ritorna tre volte in LS (n. 66-67-124), a evidenziare che siamo nel cuore del messaggio cristiano. Coltivare e custodire concretizzano la cura dell’uomo che attraverso il lavoro migliora il mondo, trasforma il creato, guadagna il pane e coltiva se stesso. Dunque, Dio lavora e invita a lavorare. Bergoglio ne è così convinto da riprendere in AL 24 alcuni passi biblici che sottolineano l’importanza del lavoro:
«Nel Libro dei Proverbi si presenta anche il compito della madre di famiglia, il cui lavoro viene descritto in tutte le sue particolarità quotidiane, attirando la lode dello sposo e dei figli (cfr 31,10-31). Lo stesso apostolo Paolo si mostrava orgoglioso di aver vissuto senza essere di peso per gli altri, perché lavorò con le sue mani assicurandosi così il sostentamento (cfr At 18,3; 1 Cor 4,12; 9,12). Era talmente convinto della necessità del lavoro, che stabilì una ferrea norma per le sue comunità: “Chi non vuole lavorare, neppure mangi” (2 Ts 3,10; cfr 1 Ts 4,11)».
Teologicamente parlando, il lavoro diventa il caso serio della vita. Dio crea e opera continuamente, Gesù ha lavorato, l’apostolo Paolo si è mantenuto con le sue mani, la Bibbia descrive con dovizie di particolari le attività di lavoratori. Tutto fa supporre che non sia possibile la vita cristiana senza il lavoro. Francesco ricorda che
«fare non equivale a produrre. Mette in gioco la capacità creativa che sa tenere insieme l’abilità delle mani, la passione del cuore e le idee della mente. Le vostre mani - rifletteva per Confartigianato - sanno realizzare moltissime cose che vi rendono collaboratori di Dio. Dice il Signore: «Come l’argilla è nelle mani del vasaio, così voi siete nelle mie mani» (Ger 18,6). Benedite e ringraziate il Signore per il dono delle mani e per il lavoro che vi consente di esprimere».
Perciò, il lavoro è anche luogo di santificazione. In un passaggio dell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate (GE) il Papa si rivolge a tutti con la domanda: «Sei un lavoratore? Sii santo compiendo con onestà e competenza il tuo lavoro al servizio dei fratelli» (GE 14). Una teologia del lavoro così audace trova fondamento nei racconti evangelici: si pensi alla guarigione di un uomo dalla mano paralizzata (Mc 3,1-6). Con quel gesto Gesù ha restituito all’uomo la capacità di lavorare e la sua dignità. Ancora oggi, analizza Bergoglio nel terzo incontro Mondiale dei movimenti popolari il 5 novembre 2016, ci sono persone dalle mani atrofizzate e compito della Chiesa è
«aiutare a guarire il mondo dalla sua atrofia morale. Questo sistema atrofizzato è in grado di fornire alcune “protesi” cosmetiche che non sono vero sviluppo: crescita economica, progressi tecnologici, maggiore “efficienza” per produrre cose che si comprano, si usano e si buttano inglobandoci tutti in una vertiginosa dinamica dello scarto... Ma questo mondo non consente lo sviluppo dell’essere umano nella sua integralità, lo sviluppo che non si riduce al consumo, che non si riduce al benessere di pochi, che include tutti i popoli e le persone nella pienezza della loro dignità, godendo fraternamente la meraviglia del creato. Questo è lo sviluppo di cui abbiamo bisogno: umano, integrale, rispettoso del creato, di questa casa comune» .
La teologia del lavoro è un fascio di luce su tutta la realtà: rivela chi è Dio, manifesta l’umanità di Cristo, fa comprendere il senso dell’attività manuale, migliora la creazione. Tutto si tiene.
2. Il lavoro «dimensione irrinunciabile della vita sociale» (FT 162)
L’orizzonte teologico del lavoro illumina quello antropologico. Che senso ha lavorare? È esperienza che promuove la persona o la schiavizza? Di fronte alle correnti sommerse che vedono nel lavoro un peso, una fatica, una necessità per sopravvivere, lo sguardo di Papa Francesco si fa acuto. Il lavoro è cosa buona. Realizza e promuove la persona, perché le assicura «la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa, le sue forze» (Fratelli tutti - FT 162). Permette una vita dignitosa, rialza il povero dalla dipendenza sociale, riscatta l’umanità dal nichilismo e dalla chiusura autoreferenziale, costruisce una comunità. Da qui l’esigenza di garantire a tutti l’accesso al lavoro, perché è il modo ordinario con cui ciascuno può contribuire al bene comune ed esercitare la sua cittadinanza attiva. Il punto più elevato di sintesi del valore del lavoro lo troviamo in FT 162 quando il Papa scrive: «In una società realmente progredita, il lavoro è una dimensione irrinunciabile della vita sociale, perché non solo è un modo di guadagnarsi il pane, ma anche un mezzo per la crescita personale, per stabilire relazioni sane, per esprimere sé stessi, per condividere doni, per sentirsi corresponsabili nel miglioramento del mondo e, in definitiva, per vivere come popolo». Ecco le ragioni che sostengono un impegno quotidiano. Afferisce al lavoro non solo la possibilità di guadagnarsi da vivere, ma ancora di più l’opportunità di esprimersi con i propri talenti, maturare la comprensione di sé, far crescere la propria appartenenza alla comunità, contribuire alla costruzione di un mondo migliore.
Proprio quest’ultimo punto riprende l’approdo definitivo di LS, secondo cui «in qualunque impostazione di ecologia integrale, che non escluda l’essere umano, è indispensabile integrare il valore del lavoro» (LS 124). In sostanza, l’attività umana si prende cura del mondo e lo rende casa abitabile per tutti. Non sempre, purtroppo, assistiamo a una corretta concezione del lavoro, perché non basta fermarsi alla dimensione oggettiva, ossia a ciò che il lavoro produce. Nell’epoca degli investimenti in armi sempre più potenti e distruttive, questo livello non va trascurato, per evitare una relazione distorta dell’uomo con la materia e le cose, ma non è sufficiente. Occorre salvaguardare la sua dimensione soggettiva, se è vero che «qualsiasi forma di lavoro presuppone un’idea sulla relazione che l’essere umano può o deve stabilire con l’altro da sé» (LS 125). Il lavoro manifesta la vocazione personale in rapporto a tutte le altre creature. Non a caso alcune esperienze monastiche come quella di san Benedetto da Norcia hanno voluto unire la preghiera e l’attività manuale (ora et labora), coniugando la dimensione contemplativa con quella attiva, il raccoglimento con la fatica, la preghiera con l’operosità, la mistica con l’azione. Si deve al monachesimo, dunque, la coraggiosa fedeltà alla Parola di Dio: il lavoro non va semplicemente sopportato, ma gustato. Non è una triste necessità, ma un dono, tanto che «tale maniera di vivere il lavoro ci rende più capaci di cura e di rispetto verso l’ambiente, impregna di sana sobrietà la nostra relazione con il mondo» (LS 126). Quando vengono meno la contemplazione e la cura, anche il lavoro subisce stravolgimenti. Si assiste alla distorsione del rapporto con la creazione, che anziché migliorare il mondo, lo vive come cava da cui estrarre le risorse necessarie per l’accumulo di beni e il loro consumo in mano a pochi privilegiati. Il lavoro, invece, rende possibile il miglioramento materiale della società, il progresso morale e la realizzazione del destino spirituale dell’uomo. Attraverso l’opera delle mani la persona mette in gioco la creatività, fa crescere le sue capacità, esercita una comunicazione con gli altri, progetta il futuro e rafforza un atteggiamento contemplativo.
Ecco perché il lavoro è il caso serio della società, soprattutto dei più giovani. Francesco ha dedicato al lavoro alcuni numeri specifici della ChV, il documento pubblicato nel 2019 in seguito al Sinodo sui giovani. La situazione di precarietà vissuta da molti giovani e la condizione di passaggio repentino da un lavoro all’altro non favoriscono un’adeguata maturazione umana e spirituale: «Il lavoro definisce e influenza l’identità e il concetto di sé di un giovane adulto ed è un luogo fondamentale dove si sviluppano le amicizie e altre relazioni, perché di solito non si lavora da soli» (ChV 268). C’è la possibilità grazie al lavoro di trovare il proprio posto nel mondo e di rispondere alla chiamata di Dio. Del resto, per Bergoglio la persona vive il suo essere per gli altri attraverso le due esperienze umane fondamentali che sono la famiglia e il lavoro .
La visione antropologica positiva del lavoro non può far dimenticare le forme di esclusione e di emarginazione cui sono sottoposti i giovani . Peraltro, proprio queste sofferenze che fanno sentire molte persone scarti della società non vanno trascurate, perché accrescono la vulnerabilità giovanile e favoriscono forme di depressione psicologica e di pessimismo esistenziale. Francesco non ha trascurato di sottolineare che la mancanza di senso del lavoro è una sofferenza spirituale. Parlando ai giovani di Economy of Francesco il 24 settembre 2022 si è soffermato sulla delicata crisi che attraversa l’esistenza di molti:
«Spesso di fronte al dolore e alle incertezze della vita si ritrovano con un’anima impoverita di risorse spirituali per elaborare sofferenze, frustrazioni, delusioni e lutti. Guardate la percentuale di suicidi giovanili, com’è salito: e non li pubblicano tutti, nascondono la cifra. La fragilità di molti giovani deriva dalla carenza di questo prezioso capitale spirituale – io dico: voi avete un capitale spirituale? Ognuno si risponda dentro – un capitale invisibile ma più reale dei capitali finanziari o tecnologici. C’è un urgente bisogno di ricostituire questo patrimonio spirituale essenziale. La tecnica può fare molto; ci insegna il “cosa” e il “come” fare: ma non ci dice il “perché”; e così le nostre azioni diventano sterili e non riempiono la vita, neanche la vita economica» .
La mancanza di lavoro, la disoccupazione, lo sfruttamento e il non riconoscimento impattano sulla crescita e sul futuro dei più giovani. Infatti,
«il lavoro per un giovane non è semplicemente un’attività finalizzata a produrre un reddito. È un’espressione della dignità umana, è un cammino di maturazione e di inserimento sociale, è uno stimolo costante a crescere in termini di responsabilità e di creatività, è una protezione contro la tendenza all’individualismo e alla comodità, ed è anche dar gloria a Dio attraverso lo sviluppo delle proprie capacità» (ChV 271).
Se è vero che non si può vivere senza lavorare e che, in alcune situazioni, è saggio anche accontentarsi delle opportunità lavorative che si presentano, tuttavia non si deve dimenticare che tarpare le ali ai sogni è una violenza: non si dovrebbe mai chiedere a un giovane di rinunciare ai suoi sogni e di seppellire il suo talento sottoterra. Occorre avere il coraggio di cercare sempre la propria vocazione e di inseguire i propri sogni:
«Quando uno scopre che Dio lo chiama a qualcosa, che è fatto per questo – può essere l’infermieristica, la falegnameria, la comunicazione, l’ingegneria, l’insegnamento, l’arte o qualsiasi altro lavoro – allora sarà capace di far sbocciare le sue migliori capacità di sacrificio, generosità e dedizione. Sapere che non si fanno le cose tanto per farle, ma con un significato, come risposta a una chiamata che risuona nel più profondo del proprio essere per dare qualcosa agli altri, fa sì che queste attività offrano al proprio cuore un’esperienza speciale di pienezza. Questo è ciò che diceva l’antico libro biblico del Qoèlet: “Mi sono accorto che nulla c’è di meglio per l’uomo che godere delle sue opere” (3,22)» .
La questione del senso invoca una risposta educativa. Non basta la formazione delle competenze, se insieme non si offrono le ragioni che sostengono un impegno e che mostrano l’unicità del lavoro di ciascuno. Per questo «nel lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita. Il giusto salario permette l’accesso adeguato agli altri beni che sono destinati all’uso comune» (EG 192). C’è un compito educativo che attende tutti: famiglia, scuola, sindacato, politica, imprenditori e lavoratori… La domanda di fondo rimane: «perché alzarsi la mattina e affrontare una giornata di lavoro?»
3. La denuncia delle ingiustizie sociali nel lavoro
Il magistero di Francesco ha anche affrontato le ferite sanguinanti del lavoro. Le condizioni di sfruttamento, di ingiustizia, di precarietà, di esclusione e di corruzione segnano molte esistenze. La vicinanza della Chiesa si è fatta denuncia e solidarietà. Su tre questioni la voce del Papa si è alzata libera e coraggiosa.
La prima questione è la sicurezza sul lavoro. Il tema è stato sollevato in modo più pressante negli ultimi anni. I morti sono sempre troppi («bollettino di guerra» ) e per Francesco non basta fermarsi ai numeri. Si tratta di persone che hanno alle spalle una famiglia e una comunità. Ogni lavoratore o lavoratrice che subisce un incidente è una perdita umana e di competenze. «La sicurezza sul lavoro è come l’aria che respiriamo: ci accorgiamo della sua importanza solo quando viene tragicamente a mancare, ed è sempre troppo tardi!» . Soprattutto, le vittime denotano un atteggiamento antropologico sbagliato: il rischio è di sposare una visione strumentale della vita umana. L’idolatria del denaro finisce per disumanizzare il lavoro. Parlando ai costruttori edili dell’Ance (20 gennaio 2022) Bergoglio ha ricordato ciò che era accaduto durante la costruzione della torre di Babele: se un operaio fosse morto, non sarebbe accaduto nulla; mentre sarebbe stata una tragedia se si fosse rovinato un mattone. Ci sono analogie con la mentalità corrente della massimizzazione del profitto. Invece, «la vera ricchezza sono le persone: senza di esse non c’è comunità di lavoro, non c’è impresa, non c’è economia. La sicurezza dei luoghi di lavoro significa custodia delle risorse umane, che hanno valore inestimabile agli occhi di Dio e anche agli occhi del vero imprenditore» . La salvaguardia della vita delle persone rivela la prima basilare attenzione alla dignità dei lavoratori. Più c’è sicurezza e più c’è cura per il lavoro e migliora la qualità di ciò che si produce. La morte di chi lavora è una sconfitta per l’intera società. Il lavoro legislativo e quello educativo devono procedere assieme. Si deve fare ogni sforzo perché siano rispettate le norme sulla sicurezza, in modo da prevenire infortuni: ciò comporta la responsabilità sia dei titolari delle imprese sia dei lavoratori. Nell’udienza all’Associazione Nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro (ANMIL - 11 settembre 2023) Francesco ha coniato il neologismo di carewashing, criticando l’atteggiamento diffuso di chi preferisce lavarsi la coscienza con qualche opera benefica (nell’ambito dello sport, della sanità, dei restauri di opere d’arte o di edifici di culto…) piuttosto che investire sulla sicurezza. Si preferisce curare la propria immagine invece di salvare esistenze fragili. In realtà,
«“la gloria di Dio è l’uomo vivente” (Sant’Ireneo di Lione, Contro le eresie, IV,20,7). Questo è il primo lavoro: prendersi cura dei fratelli e delle sorelle, del corpo dei fratelli e delle sorelle. La responsabilità verso i lavoratori è prioritaria: la vita non si smercia per alcuna ragione, tanto più se è povera, precaria e fragile. Siamo esseri umani e non macchinari, persone uniche e non pezzi di ricambio. E tante volte alcuni operatori sono trattati come pezzi di ricambio» .
Un secondo tema è l’attenzione alle categorie che soffrono di più la condizione del lavoro odierno: i giovani che non trovano opportunità o non sono motivati (NEET), le donne che guadagnano meno e spesso sono costrette a rinunciare alla maternità o alla carriera, i migranti che sono a rischio di sfruttamento e lavoro nero, i lavoratori poveri che fanno la fame con salari insufficienti per sostenere la famiglia . Il Papa non ha mancato di farsi interprete di chi non ha voce e rischia di rimanere sempre ai margini perché schiacciati dentro a forme di schiavitù e di precariato. Al sindacato della CGIL (19 dicembre 2022) ha condiviso le preoccupazioni per
«lo sfruttamento delle persone come se fossero macchine da prestazione. Ci sono forme violente, come il caporalato e la schiavitù dei braccianti in agricoltura o nei cantieri edili e in altri luoghi di lavoro, la costrizione a turni massacranti, il gioco al ribasso nei contratti, il disprezzo della maternità, il conflitto tra lavoro e famiglia. Quante contraddizioni e quante guerre tra poveri si consumano intorno al lavoro! Negli ultimi anni sono aumentati i cosiddetti “lavoratori poveri”: persone che, pur avendo un lavoro, non riescono a mantenere le loro famiglie e a dare speranza per il futuro» .
La lucidità della denuncia rivela non solo che Francesco è molto attento alle trasformazioni del lavoro, ma anche la sua capacità di cogliere le storture relazionali che si perpetrano negli ambienti lavorativi. Tutto ciò esprime la necessità di liberare il lavoro dalle forme degradanti e di umanizzare il lavoro, in linea con l’obiettivo del magistero sociale da Rerum novarum in poi. Il precariato, ad esempio, impatta sulle scelte di vita dei giovani e genera sfiducia nei rapporti sociali, con conseguenze sull’intera società in termini di stabilità futura del sistema previdenziale e di natalità. Da qui la necessità di elogiare i poveri che si organizzano, come ha espresso molto bene in diversi discorsi ai Movimenti popolari. La convinzione è che i poveri non possono più aspettare e «vogliono essere protagonisti; si organizzano, studiano, lavorano, esigono e soprattutto praticano quella solidarietà tanto speciale che esiste fra quanti soffrono, tra i poveri, e che la nostra civiltà sembra aver dimenticato, o quantomeno ha molta voglia di dimenticare» . Si tratta di vivere una profonda solidarietà verso i poveri e organizzare con loro la speranza di un mondo migliore. Ecco perché l’investimento più serio da fare è quello di credere nelle persone, rimetterle in piedi e dare loro fiducia, come afferma nell’incontro con il mondo del lavoro in Messico (17 febbraio 2016):
«Il miglior investimento è quello di creare opportunità. La mentalità dominante pone il flusso di persone al servizio dei flussi di capitale provocando in molti casi lo sfruttamento dei dipendenti come oggetti da usare e gettare, e scartare. Dio chiederà conto agli schiavisti dei nostri giorni, e noi dobbiamo fare tutto il possibile perché queste situazioni non si verifichino più» .
La cultura dello scarto contraddice il principio cardine della dottrina sociale della Chiesa secondo cui tutto l’impianto della comunità civile si sostiene sulla persona. Anche negli incontri con il mondo agricolo è emersa forte la preoccupazione per le forme di caporalato, di sfruttamento del lavoro straniero e la necessità che il pane arrivi sulla tavola di tutti, in coerenza con il principio della destinazione universale dei beni .
Il terzo punto critico è la corruzione. Nel corso degli anni Francesco ha più volte affermato che la politica e l’economia non devono sovvertire il loro rapporto. In FT scrive:
«Mi permetto di ribadire che la politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia. Benché si debba respingere il cattivo uso del potere, la corruzione, la mancanza di rispetto delle leggi e l’inefficienza, non si può giustificare un’economia senza politica, che sarebbe incapace di propiziare un’altra logica in grado di governare i vari aspetti della crisi attuale» (FT 177).
Agli imprenditori ha indicato la strada per evitare che la corruzione dilaghi: far camminare insieme concorrenza e trasparenza . Ciò consente di evitare la concorrenza sleale che spesso porta a ridurre i posti di lavoro, a ricorrere al lavoro nero o sottopagato, a marginalizzare le persone fragili. La corruzione si alimenta nel torbido dell’illegalità e dell’ingiustizia: ammala la società in tutte le sue dimensioni: economica, lavorativa, politica, relazionale e spirituale. Si può essere tentati di arrendersi ai ricatti e alle estorsioni con il fine buono di salvare un’impresa e la comunità dei lavoratori e si può rischiare di giustificarsi perché «così fan tutti», ma ogni cedimento alla corruzione è adorazione idolatrica del denaro . Anche il paradigma tecnocratico esercita un dominio sull’economia e sulla politica, con una finanza che tende a soffocare il lavoro. In fondo, passa l’idea che non ci sia opportunità per tutti e che qualcuno debba essere escluso. Francesco lo ha ribadito in uno dei suoi discorsi più alti sul lavoro, tenuto il 27 maggio 2017 presso l’Ilva di Genova:
«quando non si lavora, o si lavora male, si lavora poco o si lavora troppo, è la democrazia che entra in crisi, è tutto il patto sociale. E’ anche questo il senso dell’articolo 1 della Costituzione italiana, che è molto bello: “L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro”. In base a questo possiamo dire che togliere il lavoro alla gente o sfruttare la gente con lavoro indegno o malpagato o come sia, è anticostituzionale. Se non fosse fondata sul lavoro, la Repubblica italiana non sarebbe una democrazia, perché il posto di lavoro lo occupano e lo hanno sempre occupato privilegi, caste, rendite. Bisogna allora guardare senza paura, ma con responsabilità, alle trasformazioni tecnologiche dell’economia e della vita e non rassegnarsi all’ideologia che sta prendendo piede ovunque, che immagina un mondo dove solo metà o forse due terzi dei lavoratori lavoreranno, e gli altri saranno mantenuti da un assegno sociale. Dev’essere chiaro che l’obiettivo vero da raggiungere non è il “reddito per tutti”, ma il “lavoro per tutti”!» .
Il mercato da solo non è in grado di promuovere l’inclusione sociale e l’ecologia integrale: servono nuovi paradigmi, come quello della cooperazione al posto della competizione spietata. «Uno sviluppo tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore e una qualità di vita integralmente superiore, non può considerarsi progresso» (LS 194). Il traffico di armi, per esempio, rappresenta un settore poco trasparente e al servizio della distruzione del mondo. In FT si denuncia che «a partire dallo sviluppo delle armi nucleari, chimiche e biologiche, e delle enormi e crescenti possibilità offerte dalle nuove tecnologie, si è dato alla guerra un potere distruttivo incontrollabile, che colpisce molti civili innocenti» (FT 258). Il lavoro ha bisogno di pensarsi e organizzarsi in favore della vita, se non vuole diventare strumento di crescita delle disuguaglianze tra pochi ricchi che moltiplicano i loro guadagni e una massa di poveri dimenticati e strumentalizzati.
4. Motivi di speranza
Al termine del pontificato di Francesco, la riflessione sul lavoro conosce punti di non ritorno. Per prima cosa, il Papa ha ribadito il valore positivo dell’attività umana, fondandola teologicamente. In Cristo il lavoro consente di acquisire una competenza con il mondo e struttura buone relazioni sociali. Il lavoro è vocazione ed esprime la dignità umana. Tuttavia, non si devono nascondere le forme di schiavitù che si ripresentano in ogni epoca: in nome dell’esclusivo profitto la persona è asservita e schiacciata. Ogni stagione è chiamata ad umanizzare il lavoro. Le situazioni problematiche non devono far assumere atteggiamenti remissivi. L’analisi di Francesco ha sempre sullo sfondo una preoccupazione pastorale: dare motivi di speranza. Bergoglio non ha mai smesso di incoraggiare sentieri nuovi di educazione, formazione, consapevolezza, responsabilità verso il lavoro. Non si deve mai dimenticare, infatti, che il lavoro edifica la società dal basso. Si mostra come
«un’esperienza primaria di cittadinanza, in cui trova forma una comunità di destino, frutto dell’impegno e dei talenti di ciascuno; tale comunità è molto di più della somma delle diverse professionalità, perché ognuno si riconosce nella relazione con gli altri e per gli altri. E così, nella trama ordinaria delle connessioni tra le persone e i progetti economici e politici, si dà vita giorno per giorno al tessuto della “democrazia”. È un tessuto che non si confeziona a tavolino in qualche palazzo, ma con operosità creativa nelle fabbriche, nelle officine, nelle aziende agricole, commerciali, artigianali, nei cantieri, nelle pubbliche amministrazioni, nelle scuole, negli uffici, e così via. Viene “dal basso”, dalla realtà» .
Il lavoro si presenta come esperienza terapeutica: valorizza la persona e fa crescere lo stile comunitario, tanto che «a volte si guarisce lavorando con gli altri, insieme agli altri, per gli altri» .
Emerge un metodo inclusivo che Francesco ha espresso come patto per il lavoro. Il metodo è dato dalla convergenza di tutti gli attori in gioco per risolvere i problemi del lavoro. Nessuno può tirarsi fuori. Vi sono responsabilità degli imprenditori, dei lavoratori e delle lavoratrici, dei politici, delle famiglie, delle scuole, delle università, delle associazioni e persino della comunità cristiana: vanno tutte esercitate. I problemi del lavoro si possono risolvere solo mettendo insieme idee, progetti e alleanze. La logica cooperativa fa sperimentare che «uno più uno fa tre» , perché solo insieme si riescono a risolvere questioni anche complesse. Un esempio su tutti è il dialogo che Francesco ha instaurato con i pescatori di San Benedetto del Tronto, che hanno raccontato il loro impegno per la pulizia del mare attraverso l’iniziativa «A pesca di plastica». Il Pontefice li ha citati numerose volte per il loro impegno ecologico, facendo crescere nella categoria la responsabilità non solo per il lavoro, ma anche per la qualità dell’ambiente marino che ricade sulla qualità del pescato. Non si dimentichi che Francesco si è reso protagonista di un’udienza con il mondo della pesca italiano il 23 novembre 2024, quasi al termine del suo pontificato. Erano presenti circa quattromila pescatori e familiari, con tutte le associazioni di categoria al completo. In questo senso Francesco ha saputo innovare il mondo del lavoro anche attraverso il principio della sostenibilità, ben presente nell’enciclica LS. Ha chiamato tutti a raccolta nella responsabilità per far crescere la cultura della cura del mondo.
Un ulteriore motivo di speranza è l’investimento formativo. La formazione continua genera futuro, perché crea le condizioni affinché nessuno sia escluso. Le tentazioni della tecnofobia e della tecnocrazia sono entrambe dannose: portano a rifiutare la tecnologia o a pensarla come la soluzione a tutti i problemi. Si tratta di dare il giusto riconoscimento culturale ai lavori manuali e di abitare le trasformazioni in corso con l’IA, mostrando quanto la creatività sia in grado di fare la differenza. La coscienza umana non è riducibile all’abilità e alla velocità della macchina. La formazione tocca non solo il capitolo delle competenze, ma anche quello del senso. C’è bisogno di ridare motivazioni all’impegno lavorativo.
La sintesi dell’impegno educativo è espressa nell’incontro con il Progetto Policoro della Chiesa italiana il 5 giugno 2021. Il Progetto è ideato nel 1995 per formare giovani che educano al senso del lavoro e che accompagnano altri giovani alla nascita di impresa e di cooperative. Per l’occasione, Francesco ha indicato quattro verbi: animare attraverso la costruzione di reti comunitarie, abitare i territori in difficoltà, appassionarsi alla vita di chi rischia di restare escluso, accompagnare sullo stile di Gesù coi discepoli di Emmaus, che nel cammino ha illuminato sul senso dell’accaduto.
Tutti possono essere sentinelle del sociale, generando speranza grazie al buon lavoro. Si evangelizza attraverso l’opera delle mani realizzata con amore e nella giustizia. Lo ricorda il Papa: «Se la musica del Vangelo smette di suonare nelle nostre case, nelle nostre piazze, nei luoghi di lavoro, nella politica e nell’economia, avremo spento la melodia che ci provocava a lottare per la dignità di ogni uomo e donna» (FT 276).
Pensando al fecondo insegnamento di Francesco sul lavoro, verrebbe da invocare un solenne: «Musica, Maestro!».